«Se non fosse per i miei figli forse l’avrei già fatta finita». Secondo quanto riporta “Ilgiornale, risponde così Riccardo quando, con un saluto ad un metro di distanza poco chiaro per le mascherine antivirus, gli chiedono come va (CLICCA QUI).
Sono quindici giorni che vive in macchina. Quell’utilitaria verde che ogni giorni sposta da una parte all’altra del parcheggino dell’Asl dell’Isolotto a Firenze, «a seconda di come gira il sole». Cerca l’ombra, si compra del cibo, sistema le sue poche cose nel bagagliaio e piange. Piange sempre. Logorato dalla paura di non farcela. Perdendo, di giorno in giorno, un briciolo di speranza in più.
Riccardo ha 61 anni e faceva il muratore. «Ho lavorato fino a gennaio poi con la pandemia è iniziato il dramma», ci racconta. I problemi nella sua vita sono iniziati quasi 15 anni fa, quando cadendo dalle scale della casa in cui viveva con sua moglie e i suoi due figli, Riccardo si è rotto il bacino. «Quell’incidente mi ha causato dei danni permanenti, cammino solo con la stampella e mi stanco molto velocemente», continua. Il lavoro regolare presso l’azienda edile in cui lavorava da lì a poco sarebbe stato solo un bel ricordo della sua vita passata. Quella che rivorrebbe indietro. Quella per cui darebbe tutto, pur di riprendersela.
Fare il muratore con una disabilità riconosciuta al 70% è troppo rischioso e sia il datore di lavoro di Riccardo che la sua famiglia dopo la caduta decisero che era l’ora di cambiare. Voltare pagina. Cercare un lavoro che mettesse al primo posto la salute. Ma cambiare non è mai stato possibile. Perché quel posto fisso con cui l’uomo mandava avanti la famiglia, è diventato il sogno di Riccardo di tornare ad una vita normale. «Non sono più riuscito a trovare nessuno che mi assumesse con un contratto regolare e ho iniziato a fare qualche lavoretto a nero», ci spiega l’uomo con le lacrime agli occhi.
I suoi 700 euro mensili che arrivano dalla pensione di invalidità non bastano per crescere due figli e pagare l’affitto. Non senza l’aiuto di qualcuno. Non in Italia. E così, con immensa fatica fisica ripagata dal sorriso dei suoi figli il papà è riuscito ad andare avanti qualche anno arrangiandosi. Accettando tutto e privandosi di qualsiasi tipo di tutela. «Quando si è iniziato a parlare del virus l’azienda non mi ha più chiamato…ora ho perso il lavoro, la casa, la dignità», piange Riccardo appoggiato al sedile della sua auto colma di coperte, cuscini, qualche busta della spesa, una cassa di bottiglie d’acqua.
In fondo quello che vorrebbe il padre è solo una stanza, con un letto e un bagno, per poter dire a suo figlio «vieni a casa mia stiamo un po’ insieme». Se questa situazione Riccardo non riesce ad accettarla il più piccolo dei due figli ancora nemmeno la conosce. Vive con la madre, in un paesino a 50 chilometri da Firenze dopo che i genitori si sono separati qualche anno fa. «Sabato abbiamo fissato di vederci, sto cercando qualcuno che mi tenga le cose che ho in macchina. Devo svuotarla. Mi vergogno a farmi vedere in queste condizioni», ci confida Riccardo. Ogni parola che esce dalle sue labbra coperte della mascherina azzurra bagnata dalle sue lacrime è la conferma personale di un dramma che prima ha tolto ad un uomo i soldi per vivere e una casa in cui stare e ora si stà portando via anche la sua dignità di padre.