Coronavirus, Galli: «Ancora 4 settimane di chiusura per una serie di sperimentazioni»

Massimo Galli, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, ha parlato a “TPI” a proposito della possibile fine del lockdown in Italia. Ecco le sue parole: «Io sto insistendo da diversi giorni perché queste tre settimane o quattro – che io penso debbano ancora essere di chiusura – siano utilizzate per una serie di sperimentazioni. Sono fortemente preoccupato che interessi e veti incrociati stiano impedendo la possibilità di sperimentare di fatto l’unica via possibile, che è quella fondata sui cosiddetti test rapidi. I test rapidi hanno una serie di magagne, in mano mia ne ho provati due, che hanno tra il 92 e il 94 percento di sensibilità nelle persone col tampone positivo. Il discorso cambia se si considerano persone che hanno il tampone positivo da meno giorni, perché in questo caso i test risultano essere meno sensibili, nel senso che gli anticorpi non ci sono ancora. I tamponi come noto non li puoi fare a tutti. E non tutti funzionano benissimo. Dopo di che faccio attenzione a esprimermi, perché su questo tema se dici una parola fuori posto vieni massacrato. Quello che voglio dire è che io potrei essermi infettato due giorni fa ed essere negativo, potrei fare il tampone tra tre giorni ed essere positivo, dipende dalla dinamica dell’infezione. La mia paura è che vada a finire così come è iniziata, che non riuscendo a fare diversamente si è chiuso tutto, ora non vorrei che si arrivasse a una situazione in cui si riapre tutto solo con mascherina, guanti e distanziamento. Noi abbiamo tre cose da dover fare: sapere di più sulla dinamica dell’infezione e avere un test epidemiologico nazionale, oltre che lo studio più fine, come vorrei fare io in qualità di ricercatore, sulle dinamiche – se me lo lasceranno fare – a Castiglione d’Adda, a Nembro e in altre aree della Lombardia. Poi bisogna dare uno schema alle aziende su quello che devono fare, dando un pre-filtro basato su questi test rapidi, perché sono fattibili. Infine bisogna poter agire su quelli che sono chiusi in casa con la malattia. Perché anche questi dovranno riprendere a lavorare e bisognerà fare accertamenti sul loro nucleo famigliare, capire se sono stati a contatto magari con degli asintomatici, perché non saperlo è un problema per la ripresa».