Il calciatore del Catania, Francesco Lodi, ha rilasciato una lunga intervista a “FanPage.it” parlando sia della promozione del Catania ma anche dei derby col Palermo.
Ecco qualche estratto:
«Catania tra i professionisti? È stato fatto un grande risultato con l’aiuto di tutti, perché siamo partiti in ritardo e tutto è stato fatto molto velocemente. Ogni giorno arrivavano giocatori nuovi e si è creato un gruppo, all’interno del quale chi già era qui ha provato a far capire ai nuovi cosa vuol dire indossare la maglia del Catania. Una città che vive di calcio e che negli anni ha passato momenti brutti ed eravamo stati scelti per un solo obiettivo, non c’erano altre strade. Catania merita il calcio che conta. Dovevamo riportare il Catania in Serie C e ci siamo riusciti. Sono stati importanti tutti, chi ha giocato di più e chi meno, la società e l’ambiente. Le nostre motivazioni non sono mai venute a mancare e abbiamo raggiunto l’obiettivo. C’è un grande lavoro quotidiano perché è una società rinata da zero e all’interno ci sono anche figure come ex calciatori che hanno vissuto il calcio in maniera diversa. C’è un lavoro enorme e si prova sempre a fare qualcosa in più per cercare di colmare il gap perso negli anni. Ora il Catania è tornato nelle categorie che gli competono e bisogna solo continuare su questa strada».
È al quarto posto, dietro Messi, Ronaldo e Pjanic, per numero di reti realizzate su punizione nel decennio 2010-2019: ci racconta il suo segreto o se ha studiato qualcuno per il modo di calciare? «Erano tempi belli. Non c’è segreto, anzi ce n’è uno: mi è sempre piaciuto batterle e mi sono sempre allenato in maniera costante. È impossibile che la domenica arrivi e piazzi la palla all’incrocio dei pali. Bisogna provare, riprovare, altrimenti sarebbero in grado di farlo tutti. Tanto allenamento soprattutto nel fine settimana, calciando da tutte le posizioni: a me piaceva calciare da più lontano perché così la palla si abbassava meglio. Riferimento? Io sono un tifoso del Napoli e ho sempre avuto come ispirazione Maradona, ma lui è inarrivabile».
Fece parte della squadra che sfiorò l’Europa con Maran in panchina: che squadra era quel Catania? «Lui capì che quella squadra dopo Montella e Simeone andava col pilota automatico. Non modificò molto ma provo a variare delle cose nel caso in cui le squadre avversarie non ci facevano esprimere al meglio: solo allora passavamo al 4-2-3-1 visto che in mediana io avevo giocato anche a due. Con questa variante abbiamo portato a casa diverse vittorie. Noi abbiamo lottato fino a marzo per un qualcosa di importante ma rispetto ad oggi non avevamo una panchina profonda. Siamo crollati in casa con l’Inter dopo essere stati in vantaggio per 2-0. Ci sono tante componenti per arrivare a certi traguardi ma ci siamo tolti tante soddisfazioni. Auguro al Catania attuale di battere quel record, vorrebbe dire che è stato fatto un lavoro incredibile»
Ha segnato tanti gol con questa maglia, dal derby fino a quello a Torino in casa della Juve: ce n’è uno che ricorda in modo particolare? «In realtà ogni gol mi ricorda qualcosa. Io sono arrivato qua dalla Serie B, sapevano chi ero, ma ero un mezzo sconosciuto: quando sono sceso in campo alla prima partita in casa col Lecce e ho fatto due gol in tre minuti su punizione, per me quelli sono stati gol importanti per farmi conoscere. Lì è iniziata la mia storia d’amore col Catania. È normale che quello alla Juve, con i risultati del pomeriggio che erano andati tutti a nostro sfavore, è stato un momento incredibile ma lo stesso vale per i gol al Palermo fatto in casa e per tanti altri. Io me li ricordo tutti e ognuno ha un significato preciso nella mia mente. Io finché avrò voglia di correre dietro ai ragazzini, di arrivare per primo agli allenamenti e andar via per ultimo, oppure di stare davanti al gruppo durante le esercitazioni non vedo perché debba tirare i remi in barca. Vedremo cosa fare con la società. Io vorrei continuare ancora un anno, ma ci sarà tempo per decidere».