L’edizione odierna di Tuttosport si sofferma sul caso scommesse e riporta le parole di Pierpaolo Marino.
Un incubo, quell’estate a Bergamo». Già, certe bruciature non cicatrizzano mai. E Pier Paolo Marino, quando riannoda i fili della memoria ricordando i suoi primi mesi all’Atalanta, rivive quelle emozioni come se fossero ancora attuali. «Nell’agosto 2011, quando iniziò il processo a “scommessopoli”, c’era il rischio che ci avrebbero retrocesso. Alla fine ci diedero 6 punti di penalizzazione per responsabilità oggettiva. Forse Percassi mi aveva scelto proprio per avere un dirigente di esperienza, ma per me fu ugualmente un periodo terribile, visto che c’era il rischio di rifare tutta la squadra in base alla categoria in cui avrebbe giocato l’Atalanta, mentre alla fine fummo solo costretti a fare tutto il mercato nell’ultima settimana, con 6-7 giocatori presi una volta avuta la certezza che saremmo rimasti in Serie A».
Notti insonni? «Tante, perché eravamo nel pieno della bufera per Doni e Manfredini anche se il club non c’entrava niente. E poi prendemmo pure Masiello che alla fine venne indagato pure lui. Ricordo ancora le notizie, anche discordanti, che arrivavano, poi l’arresto di Doni… Furono momenti terribili».
I giocatori, visto quanto sta accadendo in questi giorni, sembra non abbiano ancora imparato la lezione… «Lì l’accusa era aver orientato anche i risultati delle partite, mentre ora non siamo ancora a questo livello e auguriamoci di non arrivarci. Noi, dopo quell’esperienza nefasta, adottammo un codice etico basato su vari comportamenti che i tesserati dovevano avere, un codice che dovevano firmare e che – se violato – ci dava la possibilità anche di rescindere il contratto. E che ci dava pure i mezzi per controllare ciò che facevano con strumenti che altrimenti un club non ha a disposizione. Noi, per esempio, monitoravamo anche i flussi di scommesse sulle partite dell’Atalanta, per vedere che non ci fossero anomalie nelle giocate. In più, una volta al mese venivano da noi specialisti nel “match-fixing ” per spiegare i rischi che poteva portare il fatto di finire in questo meccanismo perverso. E devo dire che i giocatori, durante queste lezioni, erano molto, molto interessati… Questo è un buon modo per prevenire, soprattutto se fatto a livello di settore giovanile».
Marotta sostiene che i calciatori abbiano troppi soldi e giornate troppo vuote. È d’accordo? «Questo è indubbiamente un fattore di rischio, però credo che la questione sia quella di dare un’educazione a questi ragazzi fin da quando, a 14-15 anni, crescono nei settori giovanili, in più monitorando anche le famiglie che, in ragioni dei grandi guadagni che ottengono i calciatori, diventano dipendenti da queste “aziende”».
Può essere utile il fatto che calciatori con problemi di ludopatia possano testimoniare la loro esperienza ai ragazzi? «Assolutamente. Queste iniziative, che definirei quasi di “educazione civica”, sono molto utili per prevenire questi fenomeni: il fatto che i ragazzi possano “tastare con mano” cosa rischia chi fa determinate cose e assume comportamenti sbagliati può avere un effetto fortemente dissuasivo».
Altro problema, il fatto che ormai intorno a questi calciatori ci sia un “barnum” di gente tra amici e famigliari che spesso si improvvisano agenti… «Questa deregulation è un altro problema anche perché, come spiegavo, questi personaggi alla fine diventano dipendenti dell’azienda che impersona il calciatore. E questo fa sì che chi sta intorno al calciatore non abbia quel carisma, quell’ascendente che possa orientarlo. Inoltre spesso si tratta di gente che non è preparata perché in giro c’è tanta ignoranza».
Per Fagioli e compagnia si parla di pene esemplari: è la strada giusta? «Il primo obiettivo deve essere recuperare e rieducare questi ragazzi. A Bergamo, per esempio, trovai terreno fertile con Masiello che fu favorevole all’idea di andare per le comunità presenti sul territorio impegnandosi nel sociale. E, dopo la squalifica per calcio scommesse (2 anni e 5 mesi, ndr), è tornato a giocare a ottimi livelli. Il modo migliore per evitare tutto questo è prevenirlo e, ripeto, grazie al codice etico una società ha il potere di intervenire subito, con sanzioni che prevede l’accordo firmato tra le parti, senza attendere la giustizia sportiva. E questo è un deterrente fortissimo, perché un club può intervenire già quando emerge la notizia di un comportamento non conforme di un proprio tesserato».
Marino, lei ha vissuto in prima persona l’ultimo grande scandalo legato al calcio scommesse. Che aria tira stavolta? «Fare pronostici mi risulta difficile, ma indubbiamente non ne esce bene né l’immagine del calcio, né quella dei calciatori. Al momento, e mi auguro resti così, non mi sembra che questi ragazzi si siano messi in affari con la malavita per condizionare i risultati delle partite. E le sanzioni, che ci saranno, da parte della Federcalcio devono essere graduate in modo corretto: l’errore che non va assolutamente fatto è ghettizzarli questi ragazzi. Altrimenti non li recuperi più».