Carriera finita per Pogba. Giuseppe Capua, il presidente della commissione antidoping Figc: «L’Italia è un modello»
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla legge antidoping in Italia e sul caso Pogba riportando un’intervista a Giuseppe Capua.
«Sto provando un grande dispiacere umano, sono certo che il ragazzo soffrirà moltissimo», è il pensiero quasi paterno del prof. Giuseppe Capua, presidente della commissione antidoping della Federcalcio. Trovare positivo un atleta e assistere alla sua condanna, del resto, non è mai una vittoria. Neppure per l’antidoping, sistema complesso che abbraccia la materia a 360 gradi: dalla formazione preventiva all’aula di tribunale. I dati dimostrano che il fenomeno del doping nello sport italiano, comunque, è in netta diminuzione e che gli ultimi sono stati anni di relativa tranquillità soprattutto in Serie A: prima di Pogba c’era stato infatti il caso Palomino a luglio del 2022, comunque assolto sia dal tribunale antidoping sia dal Tas.
Prof. Capua, di cosa si occupa la commissione antidoping?
«Programma i controlli, coprendo la Serie A a tappeto con uno o due test per squadra al termine di ogni partita. I nostri, uno minimo allo stadio a seconda della gara, avvertono l’atleta sorteggiato, lo accompagnano al controllo e non lo perdono più di vista. Il medico della federazione medico sportiva effettua il prelievo che può essere di urine o di sangue. Il nostro lavoro sul campo finisce lì».
E fuori dal campo?
«Prevenzione e formazione. Seguendo un protocollo Uefa, facciamo ad esempio degli aggiornamenti per le squadre che partecipano alle coppe, andando nei centri sportivi dove parliamo con gli atleti e con i tesserati, spieghiamo le procedure e i rischi in caso di assunzione di sostanze sospette come certi integratori. Illustriamo nel dettaglio anche le sanzioni previste dal codice antidoping. I tesserati sanno a cosa vanno incontro, sono a conoscenza di tutto».
E con le altre squadre del campionato?
«C’è un rapporto costante. E anche un appuntamento annuale dedicato all’antidoping, in occasione della concessione delle licenze nazionali, nel quale incontriamo i medici delle società facendo formazione. Vogliamo eliminare ogni minimo rischio di errore. Ci rivolgiamo anche alle nuove generazioni, come avviene ad esempio nel progetto Figc “Un goal per la salute” dedicato a centinaia di scuole in Italia».
Quanti controlli vengono effettuati durante l’anno?
«Nel 2023 sono stati più di 1400 tra prelievi di urine, i più diffusi, e di sangue. Sono stati 1050 “in competizione” e gli altri “fuori competizione”, durante la settimana. Nado Italia, l’organizzazione italiana antidoping, nel 2022 ne ha aggiunti altri 524».
Il doping corre più veloce dell’antidoping. Si dice da sempre, ma è ancora così?
«Purtroppo qualche sacca di criminalità ancora resiste. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui ogni tanto sorgono dei centri medici illegali, ai quali certi atleti si affidano. C’è un mondo sommerso che le forze dell’ordine contrastano. Forse è ancora vero che il doping corre più veloce, ma come sistema stiamo accelerando. Dal punto di vista scientifico, operativo, formativo e pratico, l’Italia fa il massimo e siamo considerati un’eccellenza per aver esportato in tutto il mondo delle procedure di serietà: dalla programmazione dei controlli alle analisi, fino ai processi».
Quali sono le sostanze più diffuse?
«La Wada lavora molto nello stilare le liste: individua le sostanze e le inserisce tra le proibite. Quelle che vengono più riscontrate sono purtroppo sempre le stesse: gli anabolizzanti, gli estratti ormonali e le anfetamine, in generale nello sport quelle che danno potenza alla prestazione fisica. L’EPO, tra le più attenzionate fino a qualche anno fa, oggi ad esempio sembra essere stata sconfitta».