Caro presidente, adesso le posso dire che…
L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” riporta una lettera indirizzata a Maurizio Zamparini scritta dal giornalista palermitano Luigi Butera.
“Beh, presidente, stavolta a squillare non è stato il suo telefonino. È stato il mio, ieri. Di prima mattina. «È morto Zamparini». Me l’ha comunicato un vecchio dirigente del Palermo. Ero preparato. Sapevo che il dolore l’aveva macerato. Non era riuscito a superare la perdita di Armandino, e s’è lasciato morire. Voleva riabbracciare suo figlio. Lassù sarete già insieme, sicuro. E magari lei, presidente, avrà fra le mani anche quel telefonino a cui rispondeva sempre. 335832…Dopo quasi vent’anni, è l’unico numero che ricordo ancora a memoria. Non me ne stupisco, per più di un decennio – presidente – sono stato al suo inseguimento quasi ogni giorno. Mi consolo, non ero il solo. A fine partita iniziava la corsa alla telefonata.
Nessuno voleva correre il rischio di arrivare per ultimo e trovarla sfiancato. Ma tutti sapevamo che non sarebbe successo. 335832… Il telefono squillava e lei rispondeva. Bastava insistere. Presidente, adesso che è lassù, posso dirle che è stato bello conoscerla. Ci siamo «scazzati», vero, anche di brutto. Ricordo quel comunicato contro di me sul sito del Palermo. Non le era piaciuto che avessi scritto che cominciava l’ennesima «tiritera» sull’allenatore –non rammento nemmeno chi fosse, visto quanti ne ha cambiati… – e che Palermo si era stancata del suo modo di fare. Un paio di giorni dopo mi volle incontrare allo stadio.
Mi diede uno schiaffetto sulla guancia, mi apostrofò con una parolaccia e si fece una risata. «La prossima volta ti prendo a calci in culo, ma chiamami quando vuoi…». La chiamai tante altre volte. E qualche volta lei chiamò me, come quando l’arbitro Candussio si accanì contro il Palermo a Carpi. «Era il figlio di un mio dipendente che ho licenziato, ci ha fatto perdere!».
Con lei abbiamo sognato, presidente. Io, il Palermo in Serie A non l’avevo mai visto. Me lo raccontava mio padre. E come me c’era un’intera generazione che non sapeva come fosse fatta la A. Poi è arrivato lei e il mondo s’è capovolto. Il cielo s’è aperto, il nero s’è diradato ed è rimasto solo il rosa. Ricordo ancora quella stretta di mano con l’altro presidente, Sensi e la sua promessa: «In tre anni saremo in Europa». Nell’estate del 2005, il Palermo giocò la sua prima partita di Coppa Uefa contro l’Anorthosis Famagosta. Immagino che da lassù si farà una risata pensando che temevamo i ciprioti e Ketsbaia. Manco fossero stati il Real Madrid e Maradona! Io, intanto, non avevo smesso di chiamarla. Anche perché, quando mancava un titolo per la pagina, c’era solo un modo per trovarlo: 335832…
«Abbiamo preso Burdisso e Zaccardo, chiedi a Foschi», mi rivelò subito dopo la promozione in A. Chiamai Foschi. Scoppiò l’inferno. Burdisso non arrivò mai, andò all’Inter. Un’altra volta la chiamai dopo un Palermo-Parma. Come sempre non aveva visto la partita. Era in vacanza in Egitto, ma qualcuno – come sempre – gliel’aveva raccontata a modo suo. Riempì di invettive Colantuono, provai ad edulcorare le sue parole sul giornale. Non bastò, il giorno della conferenza stampa prepartita con il Genoa per poco non venni alle mani con l’allenatore.
Ce ne sono state centinaia di telefonate così, tante volte mi ha detto che non capivo un «c… di calcio».
Poi c’era l’estate a Bad Kleinkirchheim, presidente. Quei ritiri estivi erano la sua gioia, ma anche la nostra, perché un momento per parlare lo trovava sempre e il titolo ci usciva. Come quando andò a comprare le scarpe a Pastore. O come quando si presentò con il principe Abdul Mohsin al Hokair. Ne sono arrivati altri di emiri vestiti come i re Magi. Diceva che voleva vendergli il Palermo. Non ci ho mai creduto perché era il suo giocattolo, con cui si divertiva e faceva divertire un’intera città che nel frattempo aveva riscoperto il senso di appartenenza grazie ai campioni del mondo, Corini, Miccoli, Pastore, Dybala, Ilicic e tutto il resto del rosario. Avevamo la A, l’Europa e battevamo la Juve per tre volte di fila a Torino. Ma chi ce lo doveva dire! 335832…
La chiamai anche il giorno prima della finale di Coppa Italia a Roma, mi disse che mi aspettava in un hotel in via Veneto. Quando arrivai, mi presentò un altro emiro. Il giorno dopo all’Olimpico si prese l’abbraccio dei 40 mila arrivati a Roma pieni di speranze. La sera, dopo la sconfitta con l’Inter, sempre al telefono mi disse che quella Coppa ce l’aveva – no «rubata». Non aveva paura di mettersi contro chi comandava. Pensava di cambiare il calcio, ma alla fine il calcio ha cambiato lei. Dopo quella finale, era più arrabbiato, meno coinvolto e in balia delle persone sbagliate. Non si vedevano più gli emiri, ma si aggiravano procuratori slavi, presidenti farlocchi (Baccaglini, Richardson) e consulenti di ogni tipo. E in un niente, presidente, ha dilapidato il patrimonio più grande: il Palermo e l’amore di Palermo. Una città che da ieri, però, la piange come se avesse perso un familiare. 335832… Potrei chiamarla anche lassù, ma non è più il momento di disturbarla. Non mi risponderebbe nemmeno, perché quel numero non esiste più da un po’. Ora resti abbracciato al suo Armandino, presidente. E se le va, ogni tanto dia un’occhiata anche al suo Palermo”