Calcio illegale in Tv, piaga da debellare. L’avvocato: «700 mila utenti a rischio carcere. Adesso…»
Il tema della “pirateria audiovisiva” è ormai uno dei temi cardine della Lega Calcio Serie A e dei principali broadcaster e, infine, delle principali istituzioni. E’ un virus da contrastare, ma soprattutto da debellare, perchè riduce drasticamente i ricavi delle pay-tv e, nel contempo, il potere contrattuale dei player sportivi (società e Leghe). L’edizione odierna di “Tuttosport” fa il punto della situazione su questo tema, in cui anche la politica si è mossa. Infatti il deputato Alessio Butti (FdI), nel marzo di quest’anno, ha depositato una proposta di legge per difendere il mercato dei prodotti audiovisivi (a partire da quelli sportivi), tutelati dal diritto d’autore. Questo provvedimento era in procinto di essere “calendarizzato”, poi la caduta del Governo pentaleghista ha bloccato tutto. L’obiettivo di questo pacchetto di norme è contrastare il mercato delle IPTV illegali. Nello specifico parliamo di servizi di streaming attraverso i quali gli utenti fruiscono (mediante il pagamento di un abbonamento a basso costo) della visione di tutti i canali delle migliori pay-tv nazionali/ internazionali, e, in particolare, delle dirette di eventi sportivi (per esempio match di Serie A o di Champions League). Enzo Morelli, noto avvocato milanese, ha voluto dire la sua su questo tema: «L’operazione messa in campo nei giorni scorsi, su scala paneuropea, dalla Guardia di Finanza, è un primo importante passo per ristabilire la legalità nel settore. Inoltre, i 700 mila utenti individuati dalle Fiamme Gialle rischiano il carcere, oltre ad una pesante sanzione pecuniaria. Gli investigatori possono risalire a loro tramite le carte di pagamento utilizzate per l’acquisto degli abbonamenti illegali. L’utente è responsabile della violazione del copyright, quanto chi lo commette (i “pirati audiovisivi”), perchè questi comportamenti consapevoli alimentano proprio il mercato illegale». Un ulteriore livello di analisi è quello che coinvolge i cosiddetti “housing provider” (fornitori di servizi). «Nella stragrande maggioranza dei casi sono soggetti tutti stranieri (ospitano le immagini delle partite a cui si agganciano gli utenti). Pur sapendo della illiceità di certe condotte (basti pensare ai flussi di traffico anomalo che si producono in occasione di una partita, nda), continuano ad operare con le stesse modalità illegali e a produrre ricavi, generati proprio per effetto di questi flussi anomali… Al momento ci sono richieste di risarcimento danni da parte di diversi titolari dei diritti tv, ma non credo che si otterrà l’effetto sperato, almeno nel breve periodo», sottolinea l’avvocato lombardo. Gli housing provider resistono, sotto il profilo legale, perchè in questi flussi di traffico passano anche dati leciti. Pertanto sostengono di non poter eseguire accertamenti su ciò che si presenta come legale o illegale. Gli OTT (letteralmente “Over The Top”) si nascondono dietro la privacy, ribaltando sulle software house le richieste di cancellazione da parte dei titolari dei diritti tv. «Di fronte a questa posizione sarebbe sufficiente applicare, una volta per tutte, la cosiddetta teoria della “chiusura dei rubinetti”. Una sorta di blocco al confine nazionale, così da ostacolare questo flusso di immagini destinato al mercato italiano. In concomitanza di una partita in diretta, da un IP “segnalato” dai titolari dei diritti, si dovrebbe bloccare temporaneamente l’indirizzo in esame e, quindi, il flusso anomalo dei dati. Terminato l’evento, sempre lo stesso indirizzo verrebbe sbloccato riaprendo così il “rubinetto”. Il blocco, permanente o temporaneo, è un sistema giá adottato in Inghilterra: l’autorità giudiziaria nel caso specifico ha emanato un provvedimento “madre”, che viene aggiornato durante l’anno direttamente dai titolari dei diritti», suggerisce Enzo Morelli. Per attivare questa particolare procedura, anche nel nostro Paese, bisognerebbe portare avanti la seguente strategia: a) attribuire un potere più forte all’Agcom (liberando così i tribunali, presenti sui territori, dal dover correre ad emettere e poi a far eseguire i provvedimenti), in modo da costringere le OTT, ovvero le principali aziende in cima al mercato digital, a non commercializzare applicazioni illecite; b) costituire una task force permanente, diretta dalla stessa Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), in cui dovrebbero essere presenti i titolari dei diritti (Leghe, operatori delle comunicazioni, Internet Service Provider, ecc.), per poter, soprattutto nel week end, contrastare, in tempo reale, il traffico illecito; c) creare un “fondo di sicurezza”, alimentato, per legge, da un significato contributo stabilito dai principali titolari dei diritti.