L’edizione odierna di Tuttosport si sofferma sulla scelta di Cairo di trasmettere su La7 le gare dell’Arabia Saudita.
Nella rivoluzione araba destinata a scompaginare in maniera clamorosa gli equilibri del calcio – se soltanto nel breve tempo o definitivamente lo sapremo più avanti – ha fatto irruzione anche Urbano Cairo. Il comunicato con cui lunedì è stata annunciata l’acquisizione dei diritti della Roshn Saudi League ha scosso il panorama televisivo: e non solo. Perché un conto era raccontare un anno fa un campionato che non raccoglieva alcun interesse e la cui unica ragione di ascolto era dovuta alla presenza di Cristiano Ronaldo (non a caso Sportitalia pagò appena 30.000 euro per l’esclusiva), un conto è trasmettere in chiaro dal 14 agosto una partita a settimana di un torneo nel quale saranno protagonisti, oltre a CR7, campioni di livello assoluto che fino a poche settimane fa giocavano in Premier League piuttosto che nella Liga o nella Bundesliga o in Serie A. Qualche esempio? Sadio Mané, Marcelo Brozovic e Seko Fofana saranno compagni di squadra di Ronaldo nell’Al-Nassr. Sergej Milinkovic-Savic, Kalidou Koulibaly, Ruben Neves e Malcom giocheranno nell’Al-Hilal.
Il Pallone d’oro in carica, Karim Benzema, scenderà in campo nell’Al-Ittihad con Fabinho, Jota e N’Golo Kanté. E l’Al-Ahli ha ingaggiato Riyad Mahrez, Roberto Firmino, Edouard Mendy e Allan Saint-Maximin. Altri arriveranno nelle prossime settimane, compreso, forse, Victor Osimhen. Spiega Cairo, soddisfatto dell’operazione: «Da qualche mese non si parla d’altro e quindi con La7 abbiamo voluto cogliere questa opportunità che interesserà tutti gli appassionati di calcio». È un investimento non soltanto economico (le cifre non sono state rese note, però sono ovviamente lontane da quelle dei principali campionati europei, anche perché si tratta di una sola partita a giornata: si comincia con la squadra di Ronaldo), ma anche strategico nella crescita globale di un’emittente che di anno in anno rosicchia quote di pubblico alla Rai e a Mediaset con un’offerta sempre più trasversale.
C’è però di più. Il 75 per cento di tutti e quattro i club appartiene al Public Investment Fund, il fondo sovrano dell’Arabia Saudita che ha un patrimonio stimato in 700 miliardi di dollari e che, istituito nel 1971, ha impresso una fortissima accelerata ai propri affari a partire dal 2015, investendo cifre mostruose in tutti gli ambiti economici più redditizi: per capirci, da Citigroup e Bank of America a Facebook e Disney, da Cisco Systems e Uber a TotalEnergies e Boeing, da Acwa Power e Marriott International a McLaren e Newcastle e avanti così. Attraverso l’acquisto di tanti campioni, adesso, i reali sauditi intendono rendere il proprio campionato competitivo, di fatto immaginando una concorrenza, in tempi certo non lunghissimi, ai tornei europei, che possiedono una storia ineguagliabile ma non possono minimamente competere con il potenziale economico della Roshn Saudi League: neppure la Premier, che pure è da diversi anni la competizione più ricca. Istituire un ponte, per quanto piccolo, con l’Arabia Saudita significa dunque avvicinarsi a una realtà dominante e destinata a dominare per chissà quanto, aprendo al proprio business un ventaglio di possibilità enorme. Qualche tifoso del Toro, ieri sui social, fantasticava scenari francamente fuori da ogni logica. Ma non ci sono dubbi che l’acquisto dei diritti della Roshn Saudi League potrebbe rivelarsi un affare ben al di là della “semplice” trasmissione di trentaquattro partite in un anno.