Brandaleone ricorda Zamparini: “Regalò emozioni a una città affamata di calcio”
Attraverso le colonne de “Il Giornale di Sicilia” il giornalista Carlo Brandaleone ha dedicato un editoriale a Maurizio Zamparini.
Maurizio Zamparini ha fatto sognare una generazione di tifosi palermitani, che mai prima del 2004 aveva visto la propria squadra in Serie A e tanto meno gareggiare in Europa. Per anni l’imprenditore friulano è stata la persona più amata a Palermo. Avrebbe potuto fare il sindaco, forse anche il cardinale. Dalla Vucciria alla missione di Biagio Conte, le sue comparsate in città erano bagni di folla, una folla innamorata che vedeva nelle imprese della propria squadra di calcio anche un momento di riscatto sociale. Zamparini piaceva perché parlava un linguaggio diretto che piaceva alla gente; attaccava gli arbitri e il «palazzo», sbeffeggiava gli avversari, addossava ai propri allenatori ogni colpa dopo una sconfitta, prometteva grandi colpi di mercato.
Esattamente come il tifoso modello. Passionale, spesso sopra le righe, del tutto indifferente al «politicamente corretto». Finita ogni partita, scendeva in campo lui; che come al Bar dello sport teneva banco sui giornali e nelle tv fino alla gara successiva. Per anni, diciamo fino alla finale di Coppa Italia del 2011, Maurizio Zamparini ha interpretato alla perfezione le ambizioni, le speranze di un’intera città, realizzandone inaspettatamente i sogni. Il rapporto tra Zamparini e la città iniziò ad allentarsi proprio dopo la finale di Coppa Italia persa contro l’Inter, quando il patron licenziò l’amatissimo Delio Rossi e smantellò una squadra che con pochi innesti avrebbe potuto lottare anche per lo scudetto. Parte della tifoseria non capì: dopo la straordinaria mobilitazione dei quarantacinquemila tifosi all’Olimpico le attese erano altre. Invece andò via Rossi, furono ceduti Pastore, Sirigu, Darmian, Cassani e Bovo. E da quel giorno Zamparini non fu più per i fans rosanero l’uomo della provvidenza. Restò solo un buon presidente, a cui chiedere anzitutto di mantenere il Palermo in Serie A. Cosa che Zamparini fece nonostante il club rosa iniziasse a risentire dei problemi finanziari delle sue aziende.
Alla retrocessione in serie B del 2013 rimediò con l’immediato ritorno in A, un saliscendi che col tempo ha diviso i tifosi in due schiere. Da una parte quelli «eternamente grati per averci regalato un
sogno». Dall’altra quelli che «con quanto ricavi da incassi, plusvalenze e diritti tv dobbiamo restare stabilmente in A». Come Udinese, Sassuolo, Sampdoria o Cagliari. L’immagine del presidente tifoso, passionale e vicino alla gente s’è sbiadita con gli anni. Sempre meno le apparizioni di Zamparini in città, sempre più numerose le pubbliche manifestazioni di insofferenza nei confronti di una gestione lontana dai vecchi fasti e spesso incomprensibile. La retrocessione in B dopo operazioni di mercato deludenti, il rapporto con gli agenti slavi, poi Baccaglini, gli sceicchi arabi, gli inglesi, infine la cessione a Tuttolomondo e il fallimento. Zamparini, che era nato tifoso, non ha capito che al cuore non si comanda. Soprattutto quando si parla di calcio. Ai fans rosanero, che l’hanno amato più di ogni altro presidente, non importavano le sue vicende personali; non importava che avesse fatto un po’ di pasticci nei bilanci rosanero (in fondo nel calcio lo fanno in tanti), gli avrebbero perdonato tutto purché avesse garantito che ogni anno al Barbera venissero a giocare Juventus, Inter e Milan. E con un Palermo stabilmente in serie A, con tutti i tifosi al suo fianco, forse avrebbe evitato anche l’onta degli arresti domiciliari. Gli sfuggì quel panem et circenses con cui gli imperatori romani conservavano il favore delle folle.