Brandaleone: “Quelle tre finali di Coppa gridano ancora vendetta…”
L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” riporta l’editoriale del giornalista Carlo Brandaleone. Ecco quanto riportato: “Il calcio professionistico dedica la settimana alla Coppa Italia, una competizione che a molti palermitani produce… l’orticaria. Il rapporto tra il club rosanero e questo torneo è infatti perverso: tre finali, tutte perse e sempre con qualche rimpianto. Quella del 29 maggio del 2011, che l’Inter vinse 3-1, resterà nella memoria per l’esodo di oltre quarantamila tifosi rosanero a Roma. Il risultato fu netto, l’Inter era fortissima, Eto’o fu devastante, ma a rileggere le formazioni, con Miccoli e Liverani in panchina, Acquah e Hernandez in campo viene il dubbio che forse si poteva fare di meglio. E il Palermo avrebbe potuto fare meglio anche il 20 giugno del 1979, quando perse a Napoli contro la Juventus. Il risultato di 2-1 dopo i supplementari fu infatti condizionato dall’infortunio alla fine del primo tempo di Chimenti, che aveva segnato il gol del vantaggio rosanero. Chimenti viveva un momento di straordinaria forma e con lui in campo il risultato forse sarebbe stato diverso. Su questo infortunio molto di discusse, qualcuno con malizia ne dubitò, ma non c’è un solo motivo razionale per non credere che Chimenti, sostituito da Osellame, si fosse davvero fatto male. Perché mai avrebbe dovuto fingere? Il fatto è che durante il primo tempo nessuno s’accorse che Chimenti zoppicava e la sorpresa nel non vederlo al rientro delle squadre in campo fu grande. Ma il rimpianto maggiore resta la finale del 23 maggio 1974, giocata e persa a Roma ai rigori contro il Bologna. Quel giorno il Palermo dominò, segnò con Magistrelli, sbagliò una serie di occasioni per raddoppiare ma al 90’ il Bologna pareggiò con un rigore inesistente. Nato da una rimessa laterale di Savoldi che era in favore del Palermo e assegnato dall’arbitro Gonella per una non-spinta di Arcoleo su Bulgarelli. Ai rigori, dopo l’errore del bolognese Cresci, sbagliarono prima Vullo e poi Favalli. S’è discusso molto di questa finale. A tutti sembrò un’ingiustizia, perfino a Bulgarelli che anni dopo, quando fece per pochi mesi il direttore sportivo rosanero, ammise di avere clamorosamente accentuato la caduta sul contatto con Arcoleo. Renzo Barbera in lacrime pagò egualmente il premio di tre milioni promesso ad ogni calciatore, come se il Palermo avesse vinto. E per anni dare del «Gonella» a qualcuno a Palermo fu assai infamante. Ma questa finale si porta dietro una serie di interrogativi. Il più rilevante riguarda la serie dei rigori calciati dai rosa. Perché andò sul dischetto Vullo, che era un terzino? E non andò proprio Arcoleo, tra i
calciatori più tecnici della squadra di Viciani? Se Vullo non avesse sbagliato, dando per scontato l’errore di Favalli, si sarebbe andati ad oltranza. Quarantaquattro anni dopo un aiuto viene proprio da Arcoleo, che pensa ancora a quel giorno. «Fui io a rifiutarmi di calciare – racconta l’ex centrocampista rosanero -. Non me la sono sentita perché ero ancora scosso dall’atteggiamento di Viciani per il rigore. Il tecnico mi mandò a quel paese, facendomi sentire il responsabile della mancata vittoria. Con i gesti e con le parole. E per me fu un trauma, giocai i supplementari con i nervi a fior di pelle, quando ci fu da calciare i rigori non avevo la necessaria serenità per farlo e mi tirai indietro». Insomma, se Viciani invece di «cazziare» Arcoleo per un fallo evidentemente inventato dall’arbitro lo avesse rasserenato, forse la finale sarebbe finita in modo diverso e nel museo rosanero che sta nascendo il posto più importante sarebbe occupato proprio da quella Coppa”.