L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” riporta l’editoriale del giornalista Carlo Brandaleone: “Dopodomani compirà cinquantotto anni, ma i suoi amici lo hanno già festeggiato qualche giorno fa. Nella carta d’identità di Maurizio Schillaci c’è scritto che è nato il primo febbraio del 1962, ma in effetti nacque al Capo tredici giorni prima e il padre se la prese comoda per registrarlo. Non sarà un compleanno diverso per l’ex calciatore che ormai vive sulla strada da anni. Vittima degli infortuni, della droga e anche di se stesso. Di Maurizio Schillaci, cugino del celebre Totò, s’è scritto molto, si sono realizzate trasmissioni televisive e perfino un film. La sua storia non fa più notizia e dopo tanti anni in strada ha trovato il suo equilibrio con una sedia, un’auto e un cane. La mattina si posiziona davanti al teatro Massimo, ormai la sua casa a cielo aperto, chiede con discrezione un contributo ai passanti e nessuno tra i numerosi turisti che ogni giorno affollano la piazza potrebbe immaginare che quello smilzo è stato una grande promessa del calcio italiano. La sua, come lui stesso ha spesso raccontato, è stata una brutta storia. La storia di un ragazzo debole, reso ancor più debole dalla necessità di bruciare tutto e immaginiamo dalla mancanza di qualcuno che gli volesse davvero bene. Era un attaccante esterno, moderno, poteva fare il trequartista, la sua falcata era micidiale. Qualcuno diceva: è più forte di Totò. Non è vero, avevano solo ruoli diversi. Iniziò al Palermo, fece le cose migliori a Licata e nel Messina, ebbe e sciupò la sua grande occasione nella Lazio dove si ruppe lo scafoide calciando in allenamento e finì la sua carriera alla Juve Stabia. Adesso Maurizio Schillaci vive per strada, i suoi innumerevoli appelli per trovare un lavoro sono andati a vuoto, come capita spesso a chi ha alle spalle storie di droga. Sta reagendo con dignità, con una forza che avrebbe dovuto avere tanti anni fa per reggere all’impatto col mondo dorato e spietato del calcio. Vive di offerte, dopo avere vissuto per anni sui treni fermi alla stazione, dorme in una vecchia Panda abbandonata per non doversi separare dal suo amatissimo meticcio bianco e nero, Johnny. Tutti i possibili ricoveri per senzatetto a Palermo non accettano i cani e Maurizio Schillaci il suo Johnny non lo lascia solo neppure per un attimo. Il calcio? Ormai è un lontano ricordo. Ne parla spesso e senza gioia, quel mondo lo ha illuso e poi gli ha girato le spalle. Del resto fin dalle prime battute le cose non girarono per il giusto verso. Maurizio Schillaci ne ebbe il primo sentore il 13 giugno del 1982, il giorno del suoi debutto con la maglia rosanero. In serie B contro la Lazio alla Favorita. Era l’ultima partita di campionato, assolutamente inutile ai fini della classifica. Per il ventenne delle giovanili rosa, che per la prima volta indossava la maglia titolare, fu una gara indimenticabile e non solo per il gol che realizzò deviando la palla in rete col ginocchio in mischia. Era la stagione con Renna in panchina, nella quale De Rosa segnò a ripetizione vincendo il titolo di capocannoniere. Ma al rientro negli spogliatoi Maurizio Schillaci non colse un’atmosfera gioiosa e nessuno si complimentò con lui per quel gol al debutto. Anzi, a causa di quella rete fu «cazziato» di brutto da un paio di compagni più grandi, che avevano giocato un bel gruzzoletto sul risultato di parità. Ai più giovani certe cose venivano nascoste e quel giorno Maurizio Schillaci perse –insieme alla metà del premio partita – anche un po’ della sua innocenza”.