Intervenuto ai microfoni di “Sky Sports News”, Kevin-Prince Boateng, calciatore in forza al Besiktas, ha parlato apertamente col suo rapporto col razzismo: «Cosa fa il calcio in generale per affrontare il razzismo? Non molto, una pubblicità in tv o uno striscione quando le squadre escono sul campo. Capisco che non è una posizione comoda per un calciatore, molti pensano che se dicono qualcosa o condividono la cosa sbagliata, perderanno un contratto o uno sponsor. Eppure non dici niente di male quando cerchi di aiutare la razza umana. Il gesto dei calciatori di riunirsi in queste ore? Sicuramente è qualcosa di bello ma si può e si deve fare di più. La partita contro la Pro Patria? Quello è stato il momento in cui ho deciso che era troppo. Mi sentivo triste e arrabbiato, volevo mostrare al mondo che non avrei mai più lasciato che me lo facessero. Quando ero più giovane ho cercato di ignorare il razzismo. Le persone che mi conoscono mi dicono che ho pianto, sono andato a casa e non ho detto più nulla. Ero un codardo, non ero abbastanza forte. Ora non sono più un codardo. Nella mia carriera mi hanno fatto il gesto della scimmia. Mi hanno detto che per ogni gol che avrei segnato mi avrebbero tirato una banana. E poi ‘ti metteremo in una scatola e ti riporteremo nel tuo paese’, ‘negro’, mi hanno gettato acqua e mi hanno detto che mi avrebbero pulito perché ero sporco. In Europa, il razzismo è più nascosto. Le persone non lo mostrano troppo spesso. Ma quando si riuniscono in grandi gruppi, diventa più facile per loro urlare. Quando cammino per la strada, le persone attraversano dall’altra parte. Mi guardano in modo strano quando guido in macchina. La polizia mi ferma senza motivo. Forse perché sono un ragazzo di colore con tatuaggi e una buona macchina. E pensano che io sia un criminale. Sinceramente ho lavorato tutta la vita per diventare un calciatore e mi giudichi dal mio aspetto? E quando stavo crescendo, tutto era anche peggio».