Una lunga intervista quella rilasciata da Milena Bertolini, ex tecnico dell’Italia femminile, ai microfoni di “Corriere.it”.
Ecco di seguito le sue parole:
Milena Bertolini, ex c.t. dell’Italia, cosa non ha funzionato al Mondiale? «Il cambio generazionale, giusto e necessario, ha creato problemi di equilibri all’interno della squadra. Non è facile dire a una veterana che resterà a casa. Ci sono di mezzo rapporti, esperienze, gioie, dolori. Io ho avuto bisogno dei miei tempi, le ragazze dei loro per metabolizzare: non sono coincisi».
Via il dente, via il dolore. L’esclusione di Sara Gama. «Al raduno di aprile ho parlato chiaro a tutte le giocatrici più esperte: attenzione, le giovani premono, nessuna ha il posto garantito. Sara inclusa. Se verrete al Mondiale, ho detto, potrete giocare o stare in panchina però il vostro contributo al gruppo sarà comunque importante. È il concetto di squadra che deve prevalere. Con Girelli, Cernoia e Bartoli è nato un patto: mi hanno dato la loro disponibilità totale. Sara l’ha presa male da subito: ho capito che quel ruolo, in Nuova Zelanda, non avrebbe potuto reggerlo».
Il clima era buono, fino alla vittoria sull’Argentina. «Vedevo sorrisi, allenamenti partecipati, giovani entusiaste: mi sembrava che la professionalità prevalesse su qualsiasi necessità individuale. Ma dalla partita con la Svezia, quando sono diventate titolari le piccole, chi non ha giocato ha messo il muso. E l’atmosfera è cambiata».
Tre gol in fotocopia dalla Svezia, però. «Brave loro, errori nostri, me inclusa. Mezz’ora di calcio bellissimo, poi abbiamo preso gol e sono emerse tutte le nostre fragilità. Incassare una rete dalla prima Nazionale del ranking Fifa ci sta. Non va bene andare in frantumi».
Infine il suicidio con il Sudafrica. «Fatto l’autogol, siamo andate in trance. Ho cercato di tranquillizzare le ragazze: calma, siamo comunque qualificate. Niente, non mi ascoltavano. È subentrata l’ansia: tutti i gol li abbiamo presi in superiorità numerica».
Sei anni in azzurro, due qualificazioni al Mondiale, un bellissimo quarto di finale (2019), la bravura di piazzare la Nazionale donne sulla mappa del nostro sport. Poteva finire meglio… «Quello che ci è successo fa parte di una crescita».
Emerge il quadro di un gruppo molto immaturo, però, a partire dalle veterane. «Non è facile vedere le piccole che ti passano davanti. Dragoni ha 16 anni ma la testa da grande: potrebbe essere la prima italiana a vincere il Pallone d’oro. Ma se sei una professionista devi riuscire a starci dentro a prescindere se la c.t. ti sta antipatica. La Spagna ha vinto il Mondiale dopo che metà delle calciatrici avevano sfiduciato l’allenatore. Quella è maturità».
Però in un gruppo, soprattutto di donne, ci sono anche le emozioni. «La forza di un gruppo è il collettivo, non il singolo. Le battaglie per sdoganare il calcio femminile le abbiamo combattute tutte, ciascuna nel suo ruolo. Non è facile vedersi soffiare il posto, lo capisco. Sentirsi offese non aiuta e alla fine siamo andate a lezione di umiltà dal Sudafrica».
La lettera conclusiva delle ragazze (non tutte, ma quasi) non ha stemperato gli animi. «Finita la partita col Sudafrica sono andata a consolare le giovani, mentre le altre mi scansavano. C’era troppa rabbia in spogliatoio per fare discorsi. Non è vero che mi sono chiusa in camera. È vero che loro si sono riunite e hanno scritto quel comunicato. Il volo di ritorno è stato allucinante. C’è chi non ha più avuto il coraggio di guardarmi in faccia né di salutarmi».
Non hanno accettato che lei abbia detto che avevano avuto paura. «Non ho detto hanno paura ma abbiamo avuto paura. Tutte. Certe ragazze fanno fatica a vivere l’errore e poi c’è l’aspetto social: vedersi sommerse dalle critiche toglie lucidità. La lettera è stata un’autorete pazzesca per il movimento».
Perché? «La forza del Mondiale 2019 era stata una squadra di donne, con un c.t. donna, capace di fare gruppo. Questo, per l’Italia, era stato il cambiamento culturale. Dove sono oggi le donne negli staff della serie A femminile? Forse il 10%… Siamo considerate immagine: le quote rosa diventano necessarie. E noi ci mettiamo del nostro, siamo le peggiori nemiche di noi stesse: aveva ragione Murgia quando diceva che servono due donne per far fuori una donna. Ma così andiamo indietro, torniamo al patriarcato».
Infatti sulla sua ex panchina si è seduto un c.t. uomo, Andrea Soncin. «Gli auguro il meglio ma andava cavalcata quell’onda positiva. Sento dire che questo è l’anno zero: allora chi ha compiti di governo cosa ha fatto dal 2019 in poi? Certo oggi c’è il professionismo, importantissimo. Ma la progettualità è un’altra cosa: distribuire risorse alla base, lavorare sul territorio, far crescere le tesserate, che si sono fermate, incentivare con la premialità a fare il settore bambine. E la promozione della Nazionale? Noi abbiamo fatto partite in casa in cui erano molti di più i tifosi avversari…».
Cosa ci dice dell’Italia il fuggi fuggi di allenatori? «Che da noi manca un progetto che ti faccia pensare che il calcio femminile sia qualcosa di importante a livello culturale. Un problema di testa».
Cosa resta di questa avventura sull’ottovolante, Milena? «Io penso di aver lasciato un’eredità: una squadra rinnovata che ha un futuro. Però dobbiamo ritrovare tutti un po’ di umiltà».