Aumentano i casi di Coronavirus a Pechino: le autorità mettono sotto accusa il “salmone importato”

Improvvisamente, la Cina ha paura del salmone, specie di quello che arriva dall’estero. Il motivo: nel mercato pechinese di Xinfadi, quello dove è emerso il nuovo focolaio di coronavirus, tracce di Sars-CoV-2 sono state trovate su un banco su cui si tagliava il salmone. E in un rimpallo tra giornali, scienziati e autorità, molto poco scientifico e molto propagandistico, l’ipotesi che sia stato il pesce norvegese a contagiare a Pechino si è diffusa a macchia d’olio. Risultato: le autorità hanno deciso di sospendere le importazioni di salmone dall’estero, come hanno confermato alcuni dei maggiori produttori norvegesi.
Se non tutti, la sostanza è che molti cinesi credono che il colpevole sia il salmone. I numeri sono ancora limitati, oggi sono stati annunciati 31 nuovi casi (in totale 44 in tutto il Paese, compresi gli altri due contagi locali in altrettante province e 11 indicati come “provenienti dall’estero”), ma la risposta del governo è decisissima: Pechino, simbolo del potere, va difesa a tutti i costi. Dal punto di vista scientifico l’ipotesi del salmone è molto improbabile, come hanno ammesso anche alcuni scienziati cinesi. È praticamente impossibile che il pesce sia un vettore del virus in grado di trasmetterlo all’uomo. Ed è molto improbabile anche che il virus, nel caso abbia contaminato il cibo durante la lavorazione, sopravviva a un trasporto internazionale e poi si “liberi” una volta che il salmone viene scongelato. Le tracce del patogeno peraltro sono state trovate sul banco, non sul cibo, una ricostruzione molto più probabile è che qualcuno ci abbia tossito sopra. In realtà, nell’accusare il “salmone importato”, alle autorità cinesi non interessava tanto la parola “salmone”, quando l'”importazione”. Da settimane infatti, cioè da quando hanno contenuto l’epidemia scoppiata in Cina, hanno spostato l’attenzione sul rischio dei contagi importati, proprio questa è la parola, dall’estero, dai cinesi di ritorno agli stranieri. Stando a quanto riferito da “Repubblica.it”, le dogane hanno iniziato a testare anche la carne importata dall’estero. La municipalità di Pechino ha mobilitato 20mila lavoratori per supervisionare la sanificazione di decine di mercati cittadini, negozi e ristoranti. Può essere giustificato in nome della prudenza, ma non aiuta a tranquillizzare i cittadini e a proteggere il business dei ristoratori, già ammaccato da lunghe settimane di lockdown. Il gestore di una catena di sushi di Pechino si lamentava di aver perso dalla sera alla mattina l’80% del clienti.

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Redazione Ilovepalermocalcio