Arriva il bonus spese per chi lavora da casa. Le cifre e a chi spetta
In arrivo i bonus per chi lavora da casa. Secondo quanto riporta “Repubblica”, Sindacati e giuslavoristi sono già al lavoro per trovare soluzioni eque. Se buoni pasto e straordinari si adattano a un lavoro che abbia un orario rigido, per chi lavora prevalentemente in modalità agile si può pensare a un rimborso forfettizzato delle utenze, o a un buon pacchetto welfare che tenga conto di guadagni e perdite e garantisca al lavoratore benefici di altro tipo rispetto a quelli dei salari standard.
Conto alla rovescia per lo smart working “semplificato”, disposto dal datore di lavoro senza necessità di accordo con i dipendenti per via della pandemia. Dall’1 febbraio, a meno che non venga ancora prorogato lo stato di emergenza, si tornerà a quanto dispone la legge 81/2017 sul lavoro agile, cioè all’obbligo di accordo. Un accordo che può essere l’occasione per ridisegnare da cima a fondo non solo l’organizzazione del lavoro per obiettivi, dagli orari al diritto di disconnessione, ma anche le voci che compongono i salari. La legge dispone che il trattamento economico di chi lavora in modalità agile debba essere identico a quello di chi lavora in modalità tradizionale. Il problema è che molti lavoratori hanno subito decurtazioni di fatto, dalla perdita dei buoni pasto a quella degli straordinari, per non parlare delle maggiori spese dovute alle utenze che corrono veloci quando si lavora a casa. D’altra parte chi lavora a casa risparmia rispetto a chi va in ufficio in termini di spostamenti, dal costo della benzina a quello dei biglietti dei mezzi pubblici, e in termini di tempo. Sindacati e giuslavoristi sono già al lavoro per trovare soluzioni eque. Se buoni pasto e straordinari si adattano a un lavoro che abbia un orario rigido, per chi lavora prevalentemente in modalità agile si può pensare a un rimborso forfettizzato delle utenze, o a un buon pacchetto welfare che tenga conto di guadagni e perdite e garantisca al lavoratore benefici di altro tipo rispetto a quelli dei salari standard.
Buoni pasto
Sono stati i primi a saltare, sia nel pubblico che nel privato, anche se la giurisprudenza è contraddittoria, a tal punto che la Funzione Pubblica ha dato a tutte le amministrazioni la libertà di decidere se corrisponderli o no. In prospettiva però appare difficile immaginare che vengano corrisposti in smart working: «I buoni pasto sono legati a un orario di lavoro, alla pausa pranzo. Non sono compatibili con una organizzazione del lavoro autonomo come quella del lavoro agile», osserva Tiziana Cignarelli, segretario generale di Codirp, sindacato dei dirigenti pubblici.
Straordinari e altre indennità
«Non riusciamo più a calcolare gli straordinari in smart working. Li paghiamo solo a chi lavora in una giornata non lavorativa, come la domenica », confessa un dirigente pubblico. «Nel privato si può risolvere con gli straordinari forfettizzati, ma nel pubblico vengono pagati solo a fronte dello svolgimento effettivo della prestazione – spiega Ilario Alvino, professore di diritto del lavoro all’Università La Sapienza –. Di regola però gli straordinari sono poco coerenti con il lavoro agile, dal momento che si lavora per obiettivi».
Quanto si perde
«Molti lavoratori percepiscono anche l’indennità di turno – osserva Florindo Oliverio, segretario Fp Cgil –, anche questa incompatibile con lo smart working: nei salari della Pa vale in media 200 euro. I buoni pasto valgono circa 160 euro al mese. Se si considerano anche gli straordinari, si capisce perché ci sono stati lavoratori che avrebbero avuto diritto a continuare a lavorare in smart working da settembre, e che hanno chiesto una certificazione speciale di buona salute pur di tornare in ufficio: non si potevano permettere uno stipendio decurtato».
Le soluzioni: come evitare tagli
Qualunque soluzione per arginare una decurtazione importante dei salari degli smart worker passa per la contrattazione sindacale, dal pubblico al privato. «Partendo dal principio che il lavoratore in smart working non deve perdere neanche un centesimo, noi pensiamo che si possa prevedere un rimborso forfettario delle spese, anche perché lo smart working, a differenza del lavoro agile, non prevede che le utenze e la postazione presso l’abitazione del lavoratore siano a carico del datore di lavoro», ipotizza Tiziana Cignarelli. «Questo è un momento difficile per i datori di lavoro – osserva Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager – però con l’aiuto anche di una fiscalità di favore, si potrebbe pensare a un nuovo modello organizzativo, con un pacchetto di welfare molto consistente, che includa sanità e previdenza complementari. Inoltre il datore di lavoro si dovrebbe far carico della formazione continua, dando così al lavoratore la possibilità di ottenere premi di risultato, in linea con la contrattazione di secondo livello».