Arresto Messina Denaro, parla l’ex impiegato comunale: «Non ho truccato io la carta d’identità, bastano un biadesivo e timbri da cartoleria»
L’edizione online de “Il Corriere della Sera” riporta le parole di Vincenzo Pisciotta, 70 anni, impiegato comunale in pensione, è seduto sul divano di casa, accanto c’è la moglie Maria e insieme stanno preparando i festeggiamenti per i 40 anni del loro matrimonio, il 27 gennaio. Ci accoglie con un sorriso: «Quando ho sentito il campanello pensavo che fossero i carabinieri…», dice.
Non è stato ancora interrogato? «Si vede che non ne hanno bisogno».
La carta d’identità di Andrea Bonafede, però, è opera sua. «Sì, nel 2016 ero io l’incaricato comunale dell’ufficio demografico».
È sicuro che davanti a lei quel giorno non ci fosse Matteo Messina Denaro? «Sono passati degli anni, all’epoca facevo anche 20-25 carte d’identità al giorno, non ho ricordi precisi. Ma vi posso dire che a Campobello, dopo 40 anni di professione, ero come il pastore del gregge che conosce le sue pecore una ad una. Andrea Bonafede lo conosco bene, se quel giorno mi fosse passata sotto gli occhi la foto di un altro me ne sarei accorto. E poi li avete visti anche voi, no? Il vero Bonafede e Messina Denaro non si somigliano mica, anche se nel 2016 Andrea in testa aveva qualche capello in più».
E allora perché sulla carta d’identità di Bonafede c’è finita la foto del boss? «Le foto delle carte d’identità s’incollano col biadesivo, ma con il calore la colla si scioglie e la foto viene via che è una bellezza. Così si leva e se ne mette un’altra».
Però poi ci vuole il timbro a secco… «Già, ma anche una timbratrice a secco si può comprare come il biadesivo in cartoleria, io lo so perché ricordo che quando in ufficio si ruppe la macchinetta ordinai di comprarne un’altra che avesse la scritta “Comune di Campobello di Mazara” stampata sul timbro. Una persona con i giusti canali può avere quello che vuole».
Quindi, Bonafede ha messo a disposizione successivamente la sua carta d’identità? «Credo di sì, di sicuro quella che gli ho rilasciato io con la mia firma era regolare. E sopra c’era la sua foto. Comunque basta andare a vedere negli archivi del Comune e della Prefettura di Trapani. Oltre alla carta emessa, infatti, la procedura vuole che se ne facciano altre due copie che restano lì. Se i carabinieri non mi hanno ancora chiamato, penso che le abbiano già trovate».
Insomma, non teme di finire indagato anche lei. «No, perché? Sono tranquillissimo. È vero che Pisciotta è pure il cognome di un boss di Castelvetrano, ma non siamo parenti» .
Però Messina Denaro qui a Campobello ha avuto parecchi fiancheggiatori. «Non sono tra questi. E credo che se la gente in giro l’avesse davvero riconosciuto, l’avrebbe denunciato. Magari con una lettera anonima. Campobello non è omertosa, parla a modo suo».
Per fortuna è finita. «So bene cosa vuole dire avere a che fare con un tumore, da 50 anni non ho più una gamba. Credo che il boss abbia fatto in modo di farsi trovare, che fosse stanco di lottare con la malattia. Ha deposto le armi».