Arrestata la sorella di Matteo Messina Denaro: ecco come ha aiutato il boss durante la latitanza
Ieri mattina i carabinieri del Ros hanno arrestato Rosalia Messina Denaro, la maggiore delle quattro sorelle del boss latitante catturato lo scorso 16 gennaio a Palermo, con l’accusa di associazione mafiosa: secondo gli inquirenti avrebbe aiutato a nascondere suo fratello e avrebbe gestito per conto suo la cassa familiare e la rete di comunicazione tramite “pizzini” che consentiva allo stragista di mantenere i rapporti con i suoi sottoposti. Come si legge su “Tpi.it” proprio da un appunto sulle condizioni di salute del boss, scritto da Rosalia e nascosto nell’intercapedine di una sedia, è partita l’operazione culminata con il blitz alla clinica La Maddalena del capoluogo siciliano. I carabinieri lo avevano scoperto lo scorso 6 dicembre mentre piazzavano delle cimici nella abitazione della donna.
Rosalia, detta Rosetta, è la madre di Lorenza Guttadauro, l’avvocata che assiste il capomafia. Il suo secondo, Francesco, nipote prediletto del padrino, sta scontando una condanna a 16 anni sempre per associazione mafiosa. Secondo i carabinieri la donna avrebbe commesso un grave errore conservando o trascrivendo il contenuto di alcuni pizzini del fratello, che invece avrebbe dovuto distruggere dopo la lettura. Avrebbe occultato questi scritti nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara. Una disattenzione che ha consentito agli inquirenti di acquisire “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto dalla donna nel corso di diversi anni”.
Sono decine i documenti simili scoperti dopo l’arresto dell’ex latitante: messaggi arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso avvolti in piccoli pacchetti. I destinatari avevano nomi in codice come Fragolone (soprannome della sorella Rosalia), Fragolina, Condor, Ciliegia, Reparto, Parmigiano, Malato, Complicato, Mela. A volte anche lo stesso boss ha evitato di distruggerli, “avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari, – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte”.