Amauri: «Per Palermo ho un affetto speciale. Inaugurazione centro sportivo mi ha fatto tornare la voglia di giocare»

L’ex attaccante del Palermo Amauri è intervenuto durante la trasmissione ‘Champions Lounge’ su Twitch offrendo un ampio spettro di riflessioni sul calcio attuale e uno sguardo retrospettivo sulla sua ricca carriera. Amauri ha toccato vari argomenti, dalla valutazione degli attaccanti emergenti e affermati in Serie A alla situazione tattica e gestionale di squadre come la Juventus e l’Inter. Ha espresso preferenze personali tra giocatori, valutato la leadership tecnica di allenatori come Antonio Conte e Thiago Motta, e discusso delle prospettive delle squadre italiane in competizioni europee. Oltre agli aspetti puramente sportivi, Amauri ha condiviso aneddoti personali che illuminano il percorso umano e professionale che ha seguito. Dalle sue umili origini e il lavoro al supermercato fino agli anni trascorsi nei club più prestigiosi d’Italia, la sua storia è un esempio di tenacia e dedizione. Ha parlato con affetto delle sue esperienze a Napoli e Palermo, sottolineando come queste tappe siano state fondamentali nella sua crescita sia in campo che fuori.

In merito ai bomber oggi protagonisti in Serie A, Amauri ha affermato: «Per la Nazionale italiana oggi non c’è una punta più forte di Mateo Retegui. Oltre Scamacca, per me ottimo attaccante con grosso margine di miglioramento, Retegui attualmente è quello che sta meglio di tutti. In Serie A, mi piace Dusan Vlahovic, sebbene a volte ecceda nella smania e commette errori comunque normali, nel senso che è troppo. Deve essere un po’ più sereno, ma è un grande bomber. Fa gol, gioca per la squadra. Quando la squadra giocherà per lui e non viceversa, potremo dire se è straordinario o meno».

Il confronto fra gli attaccanti del campionato italiano però lo vincono Morata e Lukaku: «Lo spagnolo lo preferisco anche a Lautaro, Non che Lautaro sia scarso, si tratta di una preferenza. Invece, fra Morata e Lukaku, preferisco il belga. Su tutti poi Vlahovic».

Ripercorrendo la sua carriera, Amauri si è raccontato cominciando dal nomignolo ‘Calimero’: «Odiavo questo nome, poi ho imparato la sua storia e mi è piaciuto. Sono arrivato in Italia come lui: con una valigia e da sconosciuto. Dovevo ancora cambiare il mio destino e grazie a Dio ho vissuto 18 anni in Italia. Ho fatto una lunga carriera, giocando con i migliori di tutti i tempi. Ho fatto coppia con grandissimi calciatori. Mi porto dietro questo personaggio con piacere. Da ragazzo ho lavorato anche al supermercato, fa parte della mia storia. Lo porto dentro come un esempio, nella vita se hai un sogno devi corrervi dietro anche se vi sono ostacoli. In quel periodo ce n’erano tanti per lasciare stare. Mancavano i soldi, mancava tutto a casa. Lavoravo lì e andavo anche a giocare. Non me ne vergogno, per me è stata benzina».

L’arrivo al Napoli e il primo gol in Serie A: «Uniamo il supermercato, Calimero ed Edmundo, penso al primo gol in Serie A. In quel momento mi sentivo la persona più forte del mondo: la prima rete in A di fianco a uno dei miei idoli nel calcio. Un anno prima lo guardavo giocare dal Brasile non ero nessuno. Un anno dopo, una foto dove lo porto sulle spalle. All’epoca era lo Stadio San Paolo, dove hanno giocato Maradona e Careca… Mi spiego? In squadra c’era anche Pecchia. Io ero piccolo, un ragazzino. Si vedeva che lui avesse dentro questa cosa di fare l’allenatore. Oggi sta facendo bene, sta facendo tanto. Io sono molto felice per lui, è stato fra coloro che mi hanno sempre rispettato nonostante avessi 19 anni. Mi ha sempre fatto sentire tranquillo».

Il legame col Palermo e un aneddoto speciale: «Per Palermo ho un affetto speciale. Sono stati due anni intensi, sono cresciuto molto. Mi ha dato l’opportunità di arrivare alla Juve. L’affetto che hanno per me è assurdo. Sono tornato dopo tanti anni a Palermo per l’inaugurazione del centro sportivo e pensavo non mi mancasse il calcio. Tuttavia quando ho messo il piede in campo, per la prima volta dopo aver smesso di giocare, mi è venuta voglia di scendere di nuovo in campo. Mio figlio mi ha detto che non mi aveva mai visto così. È l’aria di Palermo che mi lascia così, gli ho risposto».

Sulla Juventus: «Alla Juve non c’era una società dietro i calciatori e i nuovi acquisti abbiamo pagato. Amauri, Felipe Melo, Diego… poi dopo che sono rientrati i signori Agnelli, è cambiata la cosa, ma già non ero più nel gruppo e sono andato a Firenze. Proprio lì ho segnato il gol contro il Milan che ha dato alla Juve la possibilità di vincere lo scudetto. Io con Conte non ho mai avuto un problema. Per quello che mi riguarda, quando era alla Juventus, mi voleva in squadra, ma la società mi aveva messo fuori. Vedeva tutti i miei allenamenti e mi parlava sempre. Non mi ha mai mancato di rispetto. Mi ha voluto ma non poteva».

Le lacrime per la Nazionale: «Quando ho accettato l’Italia, è arrivato il passaporto e mi ha chiamato Prandelli. Avevo appena compiuto 30 anni. Sono andato da Torino a Firenze con l’autista e per tutti il tragitto ho pianto in auto. Mi viene ancora l’emozione a pensarci, perché ciò rappresentava tutto quello che avevo vissuto per arrivare lì: il supermercato, Calimero, il Napoli quando sono arrivato, Piacenza, Messina, Chievo Verona, Palermo, la Juventus… in quel momento pensavo a miei genitori e ai sacrifici che hanno fatto perché arrivassi lì. Ogni volta che ci pensavo piangevo, l’autista non mi ha detto nulla ma mi vedeva, perché ricordavo tutto questo e piangevo».