Abel Hernandez: «A Palermo anni fantastici. Tornerei di corsa»
L’edizione odierna de “La Repubblica” ha riportato un’intervista ad Abel Hernandez il quale ha parlato a 360° del suo presente e del suo passato, quello in rosanero.
La svolta che non ti aspetti. A 31 anni, sposato con Florencia e padre di due figlie, Emma e Juana, che «riempiono le mie giornate», Abel Hernandez, oggi tutto casa e pallone, gioca in Messico, nell’Atletico di San Luis. Ultima tappa dopo l’Italia (cinque anni a Palermo), l’Inghilterra (quattro con l’Hull City), le toccate e fuga con il Cska in Russia, con l’Al-Ahli in Qatar e il Brasile (con International e Fluminense).
A Palermo, la ricordano ancora per le “notti magiche”, in discoteca. «Se ne parlava ai miei tempi, però molte storielle venivano inventate. Ero giovanissimo e non così stupido da andare nei locali dopo una sconfitta. Capitò una sola volta e successe un casino. Ora sono più tranquillo, sto mettendo la testa a posto».
Catapultato troppo presto in una dimensione europea. «Non ero ancora maturo. Anche nel calcio ho faticato, prima di ambientarmi grazie anche a Cavani che considero quel fratello maggiore che non ho mai avuto».
Tornerebbe? «Sì. Sono nel pieno della maturità, potrei fare meglio del passato. Aspettando ovviamente la promozione dei rosanero».
Tifoso del Peñarol, a 11 anni andò via perché non le facevano giocare il derby contro il National? «Ho saltato il primo, mi hanno escluso anche dal secondo e sono scappato. Per noi quella sfida è molto di più di un Palermo-Catania, non ci possiamo proprio vedere. Tutto l’Uruguay si ferma. È la partita dell’anno che chiunque vuole vincere».
Che ricordi del derby con il Catania? «Il campionato in cui siamo retrocessi, in un Cibali stracolmo, stavamo perdendo e al 95’ segnò Ilicic su mio passaggio. E i tre gol di Pastore al Barbera?».
“Abelito”, la Joya. Come Dybala. «Paulo arrivò dopo di me, un bambino. Ora è una stella universale. E non capisco i problemi che lo accompagnano nella Juve».
Ai tempi della promozione con Iachini, Abel 14 gol, Paulo solo 8… «Avevo più esperienza. Ma il vero campione era lui. Quando si parla della Joya tutti sanno che è Dybala. Con Vazquez formava una coppia perfetta. E la sua storia non è ancora finita».
Con il San Luis, due reti e due assist. «Il nostro obiettivo sono i play-off. Siamo a due punti e mancano ancora diverse gare».
Un po’ come il Palermo che punta alla seconda posizione? «Seguo i risultati e noto con soddisfazione che è in piena corsa anche se mercoledì ha pareggiato. Può rifarsi subito. Importante arrivare agli spareggi nella migliore condizione. Penso che, appena in B, sarà un’altra cosa».
A Potosi, dove ora abita… «…manca il mare! Una bella cittadina, tranquilla. Però diversa da Mondello dove tutti mi conoscevamo e mi salutavano. Ogni anno con i miei genitori cambiavamo abitazione sempre vicino alla piazza dei pescatori e delle bancarelle di polpi e di ricci. Vi chiedo piuttosto di salutarmi la gente di Poldo 2, il primo ristorante dove ho mangiato, persone sempre carine con me».
Immagini incancellabili? «Il primo gol in A, a San Siro, contro l’Inter di Mourinho e la vittoria con la Primavera. Mi chiamarono per le ultime partite. Battemmo la Juventus e segnai una doppietta; poi, nella finale, con il Siena la rete decisiva all’ 89’. Mi ritrovai in tasca uno scudetto che la società non aveva mai vinto».
E la Coppa Italia persa a Roma? «Indimenticabile soprattutto la semifinale contro il Milan di Ibra. All’andata pareggiamo con una mia prodezza e un’altra di Pastore. Al “Barbera”, l’apoteosi. I tifosi erano impazziti, e noi pure. Quella sconfitta brucia ma l’Inter con Zanetti, Stankovic ed Etòo era troppo forte».
Il 15 marzo del 2009, il debutto in A: Palermo-Lecce 5-2. «Come passa il tempo! Quei sei minuti al posto di Cavani furono scioccanti. Toccai palla per caso, pensavo di sognare».
Abbiamo trascurato Pastore e Ilicic. «Mai. Javier era il mio gemello, il compagno di stanza e inventavamo i balletti più strani per esultare dopo il gol. Un amico, il numero uno, un fenomeno. Josip altro fuoriclasse. Mi dispiace che sia stato male, non lo sapevo. Spero possa tornare il giocatore che è. Con Gasperini è in mani fidate. Ho avuto la fortuna di allenarmi con lui, la sua Atalanta è una grandissima realtà».
Zamparini? «Dolore immenso per la sua scomparsa, non potrò mai dimenticare che mi ha portato in Europa. Un aneddoto riguarda il mio addio: era fatta con l’Hull City, ma il presidente non rispondeva al cellulare perché gli dispiaceva cedermi e valutava comunque un’altra proposta del Benfica. E allora io, il mio procuratore e Mino Raiola, ci recammo ad Aiello del Friuli con l’offerta. Lui prese i documenti e rientrò in casa mentre io aspettavo fuori. Una scenetta divertente».
Perché chiese di lasciare Palermo? «Avevo bisogno di cambiare aria, sentivo di non potere dare di più. C’erano nuovi giovani, come Belotti, che chiedevano spazio. Credo sia stata una buona scelta in quel momento».
Tra i tanti allenatori di Zamparini… «Fondamentale, Delio Rossi. Mi ha fatto capire che in A si deve correre. Ma sono rimasto legato anche a Gattuso. Tutto lo spogliatoio gli voleva bene, non mi era mai capitato di vedere un’intera squadra salutare l’allenatore dopo l’esonero. Quello che ricordo meno? Mutti. Io non gli piacevo e lui non piaceva a me».
Fra pochi giorni, l’Italia al “Barbera” contro la Macedonia del Nord. «In quello stadio stracolmo di entusiasmo, finalmente aperto al calore degli spettatori, sarà soltanto una festa. Con gli azzurri favoriti».
Un messaggio alla sua Palermo. «Mi auguro che al più presto torni a splendere. Mi è rimasta nel cuore. Ho trascorso in rosa periodi stupendi e conservato foto di avvenimenti felici. Mi piacerebbe almeno rivedere, e far conoscere alla mia famiglia, i posti dove ho vissuto e i molti amici».